
Dicembre, tempo di patrimoniale. Eh sì, perché in Italia la patrimoniale c’è già, nonostante ciclicamente venga da alcuni evocata e da altri respinta. Si chiama Imu, vale più di 22 miliardi di euro ogni anno e colpisce decine di milioni di immobili, abitativi e no. Non tutti, certamente, essendo escluse la gran parte delle “prime case” (tranne le abitazioni che il catasto considera – fondatamente o meno – “signorili”, oltre che ville e castelli) ed essendo previste alcune esenzioni particolari (come quella che riguarda gli immobili destinati all’esercizio del culto).
Non tutti, ma sicuramente molti, troppi. L’Imu, infatti, come tutte le patrimoniali, è progressivamente espropriativa del bene colpito. Vale a dire: il valore dell’immobile viene eroso ogni anno da un’imposta che è dovuta per il solo fatto di possederlo. Concetto non condivisibile in via di principio, che diventa addirittura inaccettabile nei sempre più numerosi casi di immobili non utilizzati e privi di qualsiasi appetibilità sia sul mercato della compravendita che in quello della locazione. Beni, dunque, senza alcun valore, sui quali la mano pubblica si accanisce pretendendo ogni anno il pagamento di una gabella, dovuta in molti casi da persone che si arrabattano con redditi e pensioni di minima entità, quando non addirittura prive di qualsiasi entrata.
A chi dobbiamo tutto ciò? Certamente al Governo Monti, che – nel passaggio dall’Ici all’Imu – triplicò da un giorno all’altro il carico di imposizione sui proprietari. Ma senz’altro anche agli Esecutivi che dal 2011 a oggi si sono succeduti, i quali non hanno mai agito per una seria riduzione di questa patrimoniale sul risparmio degli italiani, eccezion fatta per l’intervento sulle abitazioni principali e per alcuni piccoli ritocchi.
In questo quadro, assume i contorni della provocazione il consiglio non richiesto che periodicamente rivolgono all’Italia la Commissione europea, il Fondo monetario internazionale e l’Ocse (quest’ultimo, di nuovo due giorni fa), mirato all’ulteriore aumento della tassazione patrimoniale sugli immobili e motivato quasi sempre dalla necessità di ridurre le imposte sul lavoro (come se le tasse fossero da spostare, anziché da ridurre) e con l’assunto, non dimostrato e anzi smentito, della minore dannosità per la crescita dei tributi sul mattone rispetto ad altri.
Occorre fare esattamente il contrario. L’Imu va ridotta, altro che incrementata. Lo si faccia anche gradualmente, ma lo si faccia. Si può partire dagli immobili locati, da quelli senza mercato (e quindi a valore zero), da quelli commerciali sempre più in difficoltà. Le priorità possono essere discusse, ma anzitutto occorre decidere di farlo. Anche perché, parafrasando Margareth Thatcher, “prima o poi i soldi degli altri finiscono”.
Giorgio Spaziani Testa
Presidente Confedilizia
(Il Tempo, 5 dicembre 2025)




