
Ci siamo. La prossima settimana il disegno di legge di bilancio, che il Consiglio dei ministri ha approvato il 17 ottobre scorso, dovrebbe finalmente essere trattato in Parlamento.
Durante questi due mesi, piuttosto inspiegabilmente, si è parlato molto di una norma – quella in tema di affitti brevi – che rappresenta lo 0,5% dell’intera manovra, che ha un valore di circa 18 miliardi di euro.
Si tratta della disposizione che stabilisce l’innalzamento dal 21% al 26% dell’aliquota della cedolare secca applicabile alla prima casa data in locazione breve (fino a trenta giorni). Per la seconda, la terza e la quarta, tale aumento era già stato previsto con la legge di bilancio di due anni fa. Al di sopra di tale quota, il regime tributario cambia ulteriormente. Dal 2021, infatti, la cedolare secca è applicabile solo “in caso di destinazione alla locazione breve di non più di quattro appartamenti per ciascun periodo d’imposta”: negli altri casi, l’attività “si presume svolta in forma imprenditoriale ai sensi dell’articolo 2082 del codice civile”.
Dopo molte discussioni, e a seguito della contrarietà all’incremento espressa dai due Vicepresidenti del Consiglio, Matteo Salvini e Antonio Tajani, sembra acquisito che l’incremento di tassazione non ci sarà. E questa è una buona notizia.
Come Confedilizia lo abbiamo dichiarato con nettezza nel corso di un’audizione parlamentare: aumentare (ancora) le tasse sui proprietari che fanno affitti brevi sarebbe sbagliato in via di principio, ma non raggiungerebbe neppure l’obiettivo che i proponenti della misura hanno detto di prefiggersi, quello di accrescere l’offerta di locazioni di lunga durata. Questo è un risultato che si ottiene agendo esattamente all’opposto: incentivando (con meno tasse) e garantendo (con sfratti rapidi) gli affitti lunghi.
Tuttavia, se la marcia indietro sull’aumento della cedolare per la prima casa data in affitto breve va accolta favorevolmente, lo stesso non può dirsi per la manifestata intenzione di rendere ancora più stringente la norma citata sopra (introdotta dal Governo Conte 2), imponendo di assumere la forma imprenditoriale “in caso di destinazione alla locazione breve” (espressione peraltro equivoca) di più di due appartamenti anziché quattro.
Da sempre si è imprenditori perché: a) ne ricorrono, oggettivamente, i presupposti civilistici e fiscali; b) si opta volontariamente per questa impostazione. Stabilirlo per legge, come deciso con la manovra 2021 e come si vorrebbe fare ancora più pesantemente ora, è un errore. Tra l’altro, questa imposizione – che comporta adempimenti e costi (a partire da quello del commercialista) – ricadrebbe anche sul proprietario, poniamo, di tre case al mare date in affitto, per scelta o per assenza di inquilini, ciascuna per una settimana l’anno. Ha un senso?
Giorgio Spaziani Testa
Presidente Confedilizia
(Il Tempo, 11 dicembre 2025)




