A cura di Sandro Scoppa * * * Redigere la prefazione di questo volume – il secondo della “Biblioteca della proprietà”, la nuova collana promossa da Confedilizia – rappresenta un grande onore ma anche una notevole responsabilità. L’onore è dato dal privilegio di presentare un’opera ambiziosa fin dal titolo, “In nome della proprietà”; la responsabilità è legata al prestigio e alla competenza degli autori degli scritti che seguono, tutti “campioni” della libertà, di cui la proprietà è un irrinunciabile presupposto. Il libro è ricco di riflessioni profonde, di brani di autori del passato, di opinioni nette, di aspirazioni ad ideali di libertà e di rispetto e tutela del diritto di proprietà. La realtà, invece, è ben diversa. La realtà è fatta di continue minacce – a volte realizzate, a volte sventate – a un diritto che dovrebbe essere protetto più degli altri. Gli esempi, segnatamente per quel che concerne la proprietà immobiliare, sono numerosi e riguardano diversi profili. Un piano è quello della fiscalità. Può dirsi realmente tutelato, il diritto di proprietà, in un Paese nel quale il valore dei beni immobili – in moltissimi casi privi di qualsiasi appetibilità sul mercato – viene progressivamente eroso da una tassazione sostanzialmente patrimoniale, come è quella costituita dall’Imu, che arriva a colpire persino i fabbricati inagibili o inabitabili? Un altro profilo è quello delle regole contrattuali riguardanti la locazione. La quotidianità porta ad abituarsi a tutto, ma occorrerebbe riflettere sulla circostanza che i contratti ad uso abitativo ordinari vengono definiti “liberi” per il solo fatto che il canone iniziale (si badi bene, solo quello iniziale) viene stabilito dalle parti in autonomia, senza interferenze da parte dello Stato. Del resto, fino al 1998 questa “libertà” non esisteva, vigendo dal 1978 (con una correzione nel 1992 attraverso i cosiddetti “patti in deroga”) la famigerata legge dell’equo canone, il cui nome dice tutto sia sui vincoli di allora sia sulle “libertà” di oggi. Sempre a proposito di locazioni. È emblematico il caso di quelle commerciali, che a distanza di quarant’anni sono ancora regolate proprio dalla legge 392 del 1978 appena richiamata, i cui vincoli stridono in modo eclatante – non da oggi – con le dinamiche dell’economia, in continua evoluzione (si pensi solo all’impatto determinato sul commercio tradizionale dall’espandersi di quello elettronico). È curioso, a questo proposito, leggere quanto riportato nella relazione di accompagnamento al decreto-legge che nel 2014 stabilì – limitatamente alle locazioni con canone annuo superiore a 250.000 euro (anche se il testo originario conteneva la cifra di 150.000, poi incrementata in sede parlamentare) – di disciplinare pattiziamente i termini e le condizioni del rapporto, in deroga alla legge dell’equo canone, così “valorizzando pienamente l’autonomia privata”, diceva la stessa relazione. “La disciplina in vigore – spiegava il documento governativo – risale per la gran parte alla originaria legge sull’equo canone (legge n. 392 del 1978) e, nonostante alcuni interventi di riforma, continua a presentare rilevanti elementi di rigidità che non hanno pari nei principali Paesi europei. L’evoluzione del sistema economico ha inoltre portato a constatare come le originarie esigenze di tutela, che vedevano aprioristicamente nel conduttore il «contraente debole», risultino largamente superate. L’attuale disciplina vincolistica limita la libertà delle parti di regolare liberamente il rapporto, predeterminandolo in molti elementi essenziali (ad esempio vincoli alla durata, ipotesi inderogabili di recesso del conduttore, limitazioni alla possibilità di prevedere liberamente le modalità di revisione del canone, ipotesi inderogabili di prelazione eccetera). Tali rigidità rendono meno appetibili gli investimenti nel mercato italiano rispetto ai mercati esteri e costituiscono un freno allo sviluppo del mercato delle locazioni commerciali e degli immobili ad uso turistico”. Parole sante, che tuttavia accompagnavano una norma che – come anticipato – provvedeva a rimuovere le rigidità e i vincoli denunciati dall’Esecutivo dell’epoca solo a una parte limitatissima dei contratti di locazione, probabilmente quelli che meno ne avevano bisogno. Un ulteriore profilo da valutare quando si ragiona sul diritto di proprietà, in specie immobiliare, è quello della protezione garantita nella fase patologica del rapporto di locazione. I tempi infiniti che la legge, da un lato, e la sua applicazione in sede giudiziaria, dall’altro, impongono al proprietario di attendere prima di poter rientrare in possesso del suo immobile in caso di morosità o di fine locazione consentono di affermare che il diritto di proprietà, in queste fasi, sia tutelato? Certamente no, anche quando non si arrivi a interventi legislativi estremi come la sospensione delle esecuzioni di rilascio (il cosiddetto blocco degli sfratti), che in occasione della pandemia è stata prevista in una forma particolarmente dispotica e palesemente incostituzionale (come rilevato da diversi Tribunali). Gli esempi potrebbero proseguire, ma ci si farebbe il sangue amaro. Molto più raccomandabile leggere i contributi che seguono, tutti eccezionalmente interessanti e tutti capaci di far respirare un’aria di libertà e di buon senso. Giorgio Spaziani Testa COME REPERIRE LA PUBBLICAZIONE * * * CLICCA QUI PER VEDERE * * * È attivata – a favore degli iscritti delle Associazioni territoriali di Confedilizia – un’apposita convenzione con la casa editrice Rubbettino, che ha riservato il 15% di sconto
Prefazione di Giorgio Spaziani Testa
Postfazione di Corrado Sforza Fogliani
Contributi di Sandro Scoppa, Carlo Lottieri, Alessandro Vitale, Roberta Adelaide Modugno, Alberto Scerbo, Gianfranco Fabi, Andrea Giuricin, Paolo Pamini
In appendice l’intervento di Stratos Paradias, presidente dell’UIPI – Union International de la Propriété Immobiliére
Presidente Confedilizia
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